Dormiamo forse un paio d’ore. Non sappiamo se dare la colpa al jet lag o alla troppa stanchezza accumulata in queste “comode” 30 ore di traversata.
La mattina di Denver ci accoglie con un bellissimo sole e vento freddo. Facciamo una sontuosa colazione da campioni e impacchettiamo le valigie per partire.
Prima però, riunione tattica per spiegare alcune regole del BigTour: come funzionano le radio, come si sta in carovana, i check eccetera.
Attacchiamo quindi gli adesivi alle macchine. Queste saranno utilissime per riconoscerci in carovana e nel traffico… ma soprattutto ci fa sembrare ancora più agenzia governativa in missione recupero alieni.
I nomi sono uguali per ogni viaggio. Ci chiamiamo come le navi della flotta di Star Trek. Ormai cominciano ad essere alcuni anni che usiamo questi nomi, ed è bello pensare che ogni macchina ora ha già un’eredità e delle storie da raccontare.
Subito ci si prospetta una delle sfide più difficili di tutto il viaggio: uscire da Denver, in 11 bestioni, nel traffico della mattina, con semafori ogni 50 metri, un’autostrada, centinaia di macchine che si infilano da destra e da sinistra…. wow.
Dovrebbero farci un talent show solo per questo. Tipo giochi senza frontiere.
Eppure, con la calma zen degli antenati, l’energia sferica e il nitrito di Spirit cavallo selvaggio, non si sa come riusciamo ad uscire tutti dalla città e a imboccare la freeway 70 in direzione ovest, per attraversare le famose Rocky Mountains.
Prima tappa del viaggio, giusto per non ammazzarci di chilometri di prima mattina, il Red Rocks Amphiteatre. Un enorme anfiteatro scavato nella roccia rossa, con l’infinite pianeggiate del Colorado di sfondo, dove nella storia hanno suonato leggende come i Beatles, Jimi Hendrix, gli U2 o addirittura i Blues Brothers.
È veramente una bellezza architettonica. Ci facciamo un trilione di foto, facciamo il tifo ad un sosia di Steve Aoki che fa crossfit e risale i gradoni del teatro a ragno all’indietro. Improvvisiamo un nuovo record di TikTok senza grossi risultati (ma ci lavoreremo su).
Finito di fare gli idioti e farci riconoscere come i soliti italiani, ci ricomponiamo nelle auto pronti a cercare del cibo, ma perdiamo quasi mezz’ora a cercare lo zaino di una componente di Freedom e tre di Pathfinder che si erano fermati a mangiare un panino sotto il teatro.
Sosta pranzo quindi a Evergreen, mangiando in un fast food chiamato Illegal Burger. Sì, possiamo confermare che i loro panini erano illegalmente buoni e illegalmente pesanti.
Passiamo il pomeriggio in viaggio, attraversando valli bellissime tra le montagne innevate. Finalmente entriamo nella parte wild del Colorado: avvistiamo aquile e bufali, passiamo i quarti d’ora in silenzio ad ascoltare canzoni di John Denver mentre ammiriamo la luce del tramonto colorare le foreste di abeti.
Arriviamo in prima serata a Glenwood, un paesino super coccolo illuminato ancora a festa. Lo scegliamo perché qui c’è una delle piscine termali più grandi dello stato. Mentre qualcuno sviene in camera, alcuni di noi appoggiano le valigie, prendono il costume e si fiondano a piedi nel centro.
Mentre arriviamo alla piscina, si compie la magia. Comincia a nevicare.
Entriamo così in una vasca grande come un campo da calcio con acqua a 40 gradi, mentre sopra le nostre teste la neve scende sempre più intensa.
Paradiso.
Passiamo due ore a sguazzare e rilassarci in una cornice meravigliosa, a mollo in acqua ustionante, con una bufera di neve fuori.
Uscire nel gelo, asciugarsi e tornare all’albergo è stato infine la mazzata di un bellissimo e intenso primo giorno di viaggio, con poche ore di sonno alle spalle.
Sveniamo a letto. Ci si vede domani.
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