Scritto da Chiara

Moab, Utah. La sveglia suona alle 6 del mattino al Virginian Motel.

La prima missione della giornata è raggiungere il Corona Arch nello Utah Arches National Park. O per meglio dire, doveva esserlo.

In realtà la prima missione del giorno è stata trovare metodi alternativi per far rifornimento di acqua: un americanissimo distributore automatico di quintali di ghiaccio, con cui riempiamo prima la borraccia e poi tutto il pianerottolo del Motel.

A questo punto inizia quella che doveva essere la prima missione del giorno, ovvero raggiungere l’arco.

O forse no.

*Abort mission*

Uno di noi si accorge di aver lasciato il portafogli al ristorante in cui siamo stati la sera precedente. Inizia così una missione di recupero, in cui preghiamo che alle 7 del mattino del giorno dell’Indipendenza il ristorante sia aperto. 

Inutile dirlo, il ristorante ovviamente è chiuso.

Le preghiere di speranza si trasformano in un lamento funebre, in cui diamo l’estremo saluto ai cari defunti dollari e carte di credito. Pace all’anima loro.

Ma…

Plot twist! Non è stato un addio.

Come una fenice dalle sue ceneri, dallo zaino risorge il portafoglio. 

*Applausi*

Tutto a posto dunque, si riparte con la ex missione numero 1, ora numero 3. Vedere il Corona Arch.

Dopo una scarpinata a base di fiato corto e paesaggi mozzafiato, tra rocce, cactus e arbusti si staglia l’arco in tutta la sua immensità. E lì tiriamo il primo respiro.

C’è chi si stende tra ritagli di sole, chi disegna il panorama, chi osserva dei binari inseguire l’orizzonte e chi rivive i ricordi della giornata di ieri impressi sulle polaroid.

Nessuno vuole più andarsene da quel paradiso appena scoperto.

Eppure, in men che non si dica, è tempo di tornare sulle macchine e continuare il nostro viaggio.

Non facciamo neanche in tempo a fare la prima svolta, che accade una incredibile coincidenza: davanti a noi incontriamo un furgoncino scuro. Anzi, IL furgoncino scuro, quello che non importa quante deviazioni e soste noi facciamo, in un caso o nell’altro ce lo troviamo sempre davanti, a spianarci la strada.

Da tre giorni 🙂

Lo battezziamo “Tranquillity” e ora è uno di noi. Iniziamo perfino ad includerlo ironicamente nell’appello.

Insieme maciniamo chilometri su chilometri, nel caldo del deserto e delle steppe, fino a che non notiamo qualcosa di anomalo nel paesaggio alla nostra destra. 

“Bagnetto?” Si sente sussurrare qualcuno.

Non ce lo facciamo ripetere due volte. 

Svoltiamo a destra, su un sentiero sterrato appena accennato a strapiombo su un lago. Una fila di sei macchine si dilettano a ballare la samba sulla strada dissestata che discende fino alla riva del lago. Un posto tranquillissimo, dove una famiglia messicana ha deciso di trascorrere lì la giornata. Ma non solo loro, anche un simpatico vecchietto di nome Phil, proprietario di un’auto che stava mezza in strada e… mezza in acqua. Si da il caso, infatti, che il nostro simpatico Phil stesse sganciando delle moto d’acqua nel lago. Tutti iniziamo a fissarlo.

Si, sta arrivando la parte divertente.

Phil ci trova così, un gruppo di persone scalze sul molo e con gli occhi sgranati. Ci chiede da dove veniamo.

“Da un po’ tutta l’Italia” diciamo “Napoli!”, “Puglia!”, “Roma!”, “Lago di Como!” “Torino!”

“Oh, Torino!” Esclama Phil, illuminandosi. Conosce un amico che si occupa di moto d’acqua, a Torino. E c’è anche stato la scorsa settimana, Phil, proprio a Torino.

Presi da un moto di entusiasmo, facciamo una domanda pazza.

“Senti ma, non è che ci faresti fare un giro sulla tua moto d’acqua?”

E.

Phil.

Risponde.

SI

La parte divertente è arrivata. Uno alla volta, Phil si prodiga a caricarci sulla sua moto d’acqua e inizia a sfrecciare da una parte all’altra del lago, facendoci assaporare pura libertà. In piena velocità, con l’adrenalina alle stelle, giriamo intorno alle isolette nel lago, vivendo un’esperienza unica. Impossibile stabilire chi si sia divertito di più, tra noi e Phil.

Ma ahimè, è ora di far rotta verso Page, Arizona. Salutiamo il nostro nuovo amico e montiamo sulle macchine, chi con le scarpe zuppe e chi con i vestiti infradiciati.

Dopo miglia e miglia di puro nulla che potrebbe essere uscito da “Spirit, cavallo selvaggio”, una sosta a Kayenta, una immancabile riunione puramente casuale col nostro amato furgoncino “Tranquillity” e due principi di tornado, arriviamo a Page, ridente cittadina deserta e desertica (aka forno ventilato 220°) in una riserva di nativi americani. Qui giungiamo al nostro Motel e dopo essere evaporati per il caldo nell’attesa di ricevere le chiavi della camera, ci buttiamo direttamente in piscina per un meritatissimo bagno. 

Pensiamo di aver raggiunto l’apice di soddisfazione della giornata.. ma è il 4 luglio.

Il meglio deve ancora arrivare. 

Scoviamo una festa con musica dal vivo, e decidiamo di fare un picnic sul prato, insieme alla popolazione di Page, addobbata come un albero di natale in versione patriottica. Tra questi ricordiamo quell’uomo paffuto coi baffi a manubrio e una bellissima maglietta con un’aquila gigante sul petto. E quella signora con i leggings rossi e le infradito che ha distribuito a tutti degli sticks arcobaleno luminosi. 

Per niente trash.

Gli americani iniziano a fare balli di gruppo, mentre noi ignoranti non ci accorgiamo e continuiamo a dimenarci casualmente e a sventolare gli sticks fino a che il sole non tramonta dietro di noi.

A quel punto il buio non è mai stato più luminoso. Gli sticks si accedono, così come le luci sul palco in mezzo al giardino: una band dà inizio a un concerto.

E fin qui tutto nella norma.

Poi succede una cosa completamente crazy: 

una di noi viene chiamata sul palco a suonare il tamburello!

Piano piano siamo saliti tutti, ballando con la band e mandando un salutino dall’Italia alle migliaia di persone sotto di noi. 

Dall’andare a una festa a diventare la festa, è un attimo: abbiamo dato spettacolo per tutta la sera, movimentando il 4 luglio di Page, interagendo coi cantanti e improvvisando mosse scoordinate sul palco, aspettando i fuochi d’artificio.

Siamo addirittura riusciti a convincere la band a cantarci “Country Road”, canzone che negli ultimi giorni è stata la colonna sonora dei nostri viaggi in macchina. La ciliegina sulla torta è stato ricevere in regalo le bacchette della batteria, che conserveremo come una reliquia fino al resto dei nostri giorni.

Alle 9.30 il primo fuoco illumina il cielo. Il cantante della band ci invita a sederci con lui sul prato. Noi ci godiamo lo spettacolo mentre lui chiacchiera incessantemente lamentandosi di quanto sia noioso. Non riuscendo a farlo star zitto, abbiamo optato per l’alternativa B: dargli corda.

Abbiamo iniziato così a prendere in giro gli americani e il loro sottofondo di “Wooow” al loro spettacolino pirotecnico sottotono (forse avevamo semplicemente aspettative troppo alte)

Sono così iniziati dei cori di “aaaaah” “ooooooh” “eeeeeh” “waaaa”, che si sono conclusi con un “Mamma Mia!” di gruppo. 

Perché dobbiamo farci riconoscere 🙂

Sempre per lo stesso motivo, risaliamo sul palco cantando “Volare”.

E così, la giornata raggiunge il suo vero culmine.

Buon 4 Luglio a tutti!