Riemergiamo da due giorni di Las Vegas intensi.
Non possiamo dire ovviamente nulla di ciò che è successo, ma sicuramente che è stata un’esperienza che ricorderemo ed usciamo tutti più leggeri di portafoglio.
Non diremo neanche le circostanze del motivo per cui non abbiamo preso le auto e scappato velocemente dalla città che non dorme mai.
Sta di fatto che per precauzione, abbiamo dovuto rimanere nella zona.
Per cui, prima tappa, il famoso e tradizionale Mustang Sally’s con i suoi panini giganti, immersi in un ambiente anni 50. Ormai i commessi ci riconoscono e non ci mettono niente a sistemare tutto il locale per accoglierci.
Abbuffati alla grande, ripartiamo per fare una piccola escursione non lontano da Las Vegas, in un posto visto un anno fa e che ne vale senz’altro la pena: la valle del fuoco.
Ma dal Sally’s la strada porta ad attraversare un lago e, da poco scaltri, non ricordiamo che gli Americani adorano recintare e chiedere soldi anche per attraversare il giardino della nonna, quindi torniamo indietro perdendo più di mezz’ora di strada (e di luce).
Con il sole che scende inesorabilmente sull’orizzonte del Nevada, arriviamo alla Valley of Fire e ancora, per pura sfortuna, troviamo il ranger che sta giusto chiudendo il gabbiotto all’entrata del parco e chiede la modica cifra di 15$ per attraversare. Fossimo arrivati cinque minuti dopo, forse ci saremmo evitati la seccatura, ma ormai siamo lì e paghiamo.
Ci addentriamo allora nella valle e subito veniamo ricatapultati nel deserto di roccia rossa che avevamo abbandonato prima di entrare a Vegas. Andiamo su e giù per le curve sinuose della valle fino a salire in un punto panoramico bellissimo, bagnato giusto dalle ultime luci rosse del tramonto. Uno spettacolo bellissimo da fotografare assolutamente…
Un colpo di clacson ci interrompe la magia. È un altro ranger (il figlio) che ci intima di rientrare nelle auto e andarcene perché il parco sta chiudendo. Chiediamo gentilmente qualche minuto in più, in fondo eravamo appena arrivati. Veniamo respinti con uno scortese “I don’t care” (non me ne frega niente).
Maledetto ranger.
Ci rimettiamo in auto e, prendendolo in giro per radio tutto il tempo, per ripicca usciamo dal parco a meno di passo d’uomo.
Un pò delusi dall’accaduto, rientriamo a Vegas, dove abbiamo prenotato un alberghetto vicino alla base militare di Nellils, con la speranza di poter scorgere qualche caccia notturno in volo.
Niente, anche la sfiga in questo caso ha voluto premiarci: nessun aereo in vista per ore e un albergo che difficilmente dimenticheremo.
Andiamo a letto senza cena, vestiti per non toccare le lenzuola, al freddo e sperando che non aprano la porta per ammazzarci tutti.
Ma domani sarà un altro giorno, sicuramente migliore.
















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