Ci svegliamo nei deliziosi 25 gradi di Kanab.
L’obiettivo è raggiungere Moab in due giorni, imboccando una strada panoramica lunghissima, lontana dalle autostrade e immersa nel nulla dello Utah.
Ma quando sei macchina uno, puoi decidere tu cosa vedere nel tragitto… e un cartello “Coral Sand Dunes” così a caso per strada ci fa deviare dopo solo 10 minuti di viaggio. Continuiamo qualche chilometro nel nulla cercando cose rosse, ma non sembra esserci niente che gli somigli. Prendiamo una strada sterrata che punta alle colline vicine ma dopo poche centinaia di metri ci rendiamo conto che non solo la strada è sabbiosa, ma particolarmente impantanante. Così molliamo le auto e proseguiamo a piedi fino alla cima della collina. Niente.
Le dune rosse non si trovano. Ma il posto è comunque mozzafiato. Attorno a noi la civiltà è sparita, lasciando spazio a piane selvagge a perdita d’occhio. Cominciamo a realizzare che “vasto” sarà una delle parole che risuonerà spesso nel viaggio.
Non potendo girare le auto, ci rifacciamo il chilometro di strada sabbiosa in retromarcia, così giusto per svezzare subito i guidatori con le tecniche per non rimanere impantanati.
Puntiamo a Bryce, ascoltando musica e cantando per quasi due ore.
Nel frattempo cominciamo a chiamare gli alberghi in zona per prenotare la notte.
Tutto maledettamente pieno. Come sempre devono aver fatto passare in tv il fatto che noi stavamo arrivando e l’America intera si è riversata nello Utah tanto da riempire qualsiasi stanza da Bryce fino Salt Lake City. Così tentiamo una nuova tecnica ninja combinando telefonate con voci diverse a prenotazioni anonime su internet, tanto che i polli dell’alberghetto proprio vicino a Bryce ci cascano e anche questa volta non dormiamo in macchina.
Con lo spirito un pò più leggero entriamo nel parco. La ruota della fortuna comincia a girare dalla nostra parte perché, incredibilmente, non ci sono i mille mila milioni di gradi che renderebbero la visita al parco un’atroce sofferenza. C’è invece addirittura una piacevole brezza fresca e il cielo è dipinto di nuvole.
Bryce così diventa un posto surreale. Una concentrazione di rossi contrastanti con il blu del cielo che ti tolgono qualsiasi parola: una giungla di pilastri di roccia e stradine scavate dal vento che non ti sai dare spiegazione se non che li abbiano piazzati lì i marziani.
Scendiamo le gole, attraversiamo tunnel nelle rocce, ci godiamo il silenzio di una natura quasi sacra. Bryce ci ha rapiti.
Come chicca per concludere un pomeriggio meraviglioso, scopriamo che poco distante dal parco c’è il rodeo. Così facciamo i super indigeni e andiamo a goderci lo spettacolo di gente che tenta il suicidio venendo scaraventati a terra da tori che pesano come i nostri suv, ma anche prove di velocità a cavallo, gare di lazi e bambini che si schiantano in sella a pecore impazzite mentre mangiamo hot dog e patatine e bevendo birra.
Impariamo una cosa: la vita del cowboy è veramente dura, ma basta vedere come vanno fieri gli americani in jeans stivali e cappello che è impossibile non innamorarsi.
Cena di enchiladas nella bettola accanto all’albergo e nanna. Domani si deve fare un sacco di strada.































































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