Partiamo finalmente da Vegas in direzione nord-est. Ora che siamo brandizzati sembriamo veramente la CIA che si sposta e in autostrada la gente nelle altre auto comincia a guardarci torva e spostarsi. Prima o poi ci arresteranno, sicuro.

Appena lasciamo i sobborghi di Vegas, il paesaggio attorno a noi cambia. Siamo nel puro, infinito, bellissimo deserto.
La freeway è dritta, serena, il cielo è terso e fuori ci sono questi gradevoli 42 gradi…
Sembra che nulla ci possa fermare da arrivare a Zion appena dopo pranzo.

Ovviamente dobbiamo imparare a stare zitti.

Coda. In autostrada. Nel deserto che in trentatré viaggi si contavano le macchine che incroci sulle dita di una mano.
E invece coda. Lunga, lunghissima coda. E ovviamente l’unica uscita per evitarla è a mille mila metri di fronte a noi. Andiamo avanti a passo d’uomo, intanto ci “alleniamo” con le radioline a dire le peggio cretinate.
Arriviamo allo svincolo dopo un’ora piantati. Ci buttiamo in una laterale dell’autostrada nel bel mezzo del deserto e proseguiamo circondati dal nulla costellato di cactus e micro tornadi di sabbia.

Ci fermiamo a Saint George e inauguriamo il primo Baronator di Wendy’s. Rotoliamo fuori che sono già le quattro e mezza di pomeriggio.

Abbandoniamo così il deserto ed entriamo nei canyon di roccia rossa. Siamo a Zion.
Il paesaggio attorno a noi è surreale. Le mesa rosse che ricordano Willie Coyote, dipinte dal sole che filtra tra nuvole alla Toy Story. Dopo aver parcheggiato dentro al parco, prendiamo la navetta che lentamente ci porta all’interno di un canyon di rocce altissime, immerso nella tranquillità della natura.

Costeggiamo a piedi il torrente sul fondo del canyon, facendo milioni di foto agli scoiattoli che ogni due per tre ci attraversano la strada come se nulla fosse. Il sentiero ad un certo punto si interrompe e per forza di cose si devono mettere i piedi in acqua.

Risalire il torrente di Zion è un’esperienza mistica: sopra le ginocchia 40 gradi, sotto il quasi gelo. Camminiamo controcorrente, cercando disperatamente di non sbilanciarci ad ogni passo. Alcuni di noi impavidi addirittura affrontano la camminata scalzi.
Non facciamo molte decine di metri che è già ora di tornare indietro. Il tempo dentro Zion sembra essere volato e mancare l’ultima navetta per tornare al parcheggio non è un’opzione disponibile.
Usciamo dal parco al crepuscolo, immersi in un paesaggio marziano accompagnati da colonne sonore di film western e di fantascienza.

Arriviamo a Kanab che è già buio. E l’unica fonte di cibo è il lercissimo ma molto americano pizza hut accanto all’albergo.
Bomba di calorie e a nanna. Domani c’è una nuova avventura.