Colazione a Tonopah a base di dolci-mattoni in un piccolo diner sulla strada.
Abbiamo prenotato le camere a Vegas. Siamo pronti per due notti da veri nababbi.

Ma prima c’è una cosa da fare, ed è il motivo per cui ci siamo tanto spinti ad ovest prima di immergerci nella città che non dorme mai.

Imbocchiamo la strada per la Death Valley e ad un certo punto, dopo mezz’ora di nulla cosmico, giriamo a destra e imbocchiamo una strada che punta ancora nel più nulla di prima.

La strada finisce dopo pochi chilometri in un paesino abbandonato.
All’inizio Gold Point ti accoglie come tutti gli accampamenti visti a bordo strada durante il nostro viaggio fin qua, con rottami e qualche baracca… ma solo dopo poche decine di metri, le baracche prendono un senso e vieni catapultato indietro di almeno 200 anni, in una vera ghost town del far west.

Scendiamo dalle auto e cominciamo ad esplorare questo posto assurdo, ma anche qui non facciamo neanche qualche metro che dalla collina arriva a tutta velocità un dune buggy.
Ne scende un uomo anziano, in jeans e stivali malandati, che ci guarda con aria torva e stringendo in mano la sua pistola domanda “who the hell are you?”

È Walt, l’incredibile signore che ci ha accolto sei mesi fa quando quasi per caso siamo capitati in questo posto dimenticato dal mondo. Spiegatogli chi siamo, che ci eravamo visti lo scorso inverno, che abbiamo lasciato qualcosa di importante qui, cambia completamente espressione, mette via la pistola e ci apre il suo bar.

Un posto che, come l’altra volta, ha un alone di pura magia ferma nel tempo.

Passiamo un’ora ad esplorare ogni singolo centimetro del locale fatto di oggetti, stampe, fotografie che definire “vintage” è quasi offensivo. È storia vera, è una vita passata ad accogliere persone come noi che arrivano quasi per caso e ne rimangono affascinate.
Ci apre le baracche attorno al bar, spiegandoci come ha acquistato questo posto molti anni fa e ristrutturato un pò alla volta rendendolo una specie di b&b western in mezzo al nulla.

Ma siamo venuti qui per un motivo, ed è ancora lì, nel bar.
Una bottiglietta di frappuccino. Nascosta tra le centinaia di reperti vintage.

Apriamo la bottiglia all’aperto, dentro troviamo un messaggio e una polaroid. È il messaggio del Master 33, che si è fermato in quell’esatto punto sei mesi fa.
Leggiamo il messaggio assaporando ogni secondo di silenzio attorno a noi: sapere che in questo stesso punto sono passate persone che non conosciamo (anche se alcuni di loro sono diventati RED) ma che hanno in comune con noi più di quello che ci possiamo immaginare.
Che sono arrivati in questo punto dopo chilometri e chilometri affrontati assieme, avventure e paesaggi meravigliosi, e ancora prima un master fatto di lezioni, esercizi, crisi, difficoltà e soddisfazioni.
Ma soprattutto che ora, in tutto il mondo, stanno continuando il loro cammino realizzando i loro sogni.

È un modo fantastico per riprendere la nostra marcia e puntare finalmente verso Las Vegas.

La città che non dorme mai ci accoglie con lo stesso caldo asfissiante del primo giorno. Ma questa volta, invece che passare lontano dal centro, ci buttiamo tra i palazzoni scintillanti, le vetrate, gli eccessi e il mare di gente arrivata da tutto il mondo.

Prendiamo la nostra suite al 53esimo piano dell’Aria e fermiamo il blog qui per un giorno.
Faremo vita da ricchi, ma non potremo dirvi nulla.

Ci vediamo dall’altra parte.