Aeroporto di Amsterdam, il giorno dopo.
Stravaccati sulle sedie al gate, sguardi persi nel vuoto. Siamo sfiniti, e non sappiamo se la causa sia dovuta alla corsa al gate a San Francisco per non perdere l’aereo, i pasti aggressivi in volo, le poche ore di sonno dovute alla quantità di passeggeri rumorosi e poco profumati, il jet lag, l’apprensione per i due rimasti indietro (ndr, hanno il documento di rientro, stanno tornando anche loro).
Oppure perché contiamo le ultime energie alla fine di una traversata di quindici giorni che ricorderemo per sempre.

Torniamo dall’altra parte del mondo dopo un viaggio di circa 4000 chilometri, che ci ha lasciato sicuramente un segno profondo nel cuore e, nel bene o nel male, insegnato veramente tanto.

Ora sappiamo che un tag con il proprio nome sulla valigia a volte salva la vita.

Che i numeri vanno dall’1 all’8

Che gli orsi sono bellissimi ma è sempre meglio tenerli lontani 

Che lunghe tratte di sterrato si possono anche fare in retromarcia.

Che esistono gusti improponibili di Monster

E Anche di Pringles

Che i 50 gradi della Death Valley ti fanno rimpiangere l’estate umida di Meolo

Che se non hai due (anche tre) auto uguali le ruote di scorta non basteranno mai

Che Marte esiste ed è nello Utah

Che gli scoiattoli ingrassano

Che se dico deh e lui mi dice boia allora io posso dire boia deh

Che l’acqua dell’oceano è fredda ma i rimpianti lo sono di più

Che nel mezzo del nulla possono trovarsi degli amici pronti a versarti whisky fatto in casa 

Che a volte basta un piccolo dettaglio come un “buongiorno principesse” al mattino per svoltarti la giornata.

Che l’infinito è di colore bianco.

Che gli amici sono importanti.

Che non avremmo mai potuto fare un viaggio del genere da soli.

Che i problemi si risolvono uno alla volta.
E affronteremo il futuro con lo stesso spirito di ogni mattina, quando entravamo in auto spinti dalla curiosità di affrontare nuove, fantastiche direzioni.